Scattate a Milano, Ascoli, Catania, le foto che Flavia Faranda presenta in anteprima nella mostra “Città Visibili” non sono un semplice resoconto di viaggio, ma una sorta di autoritratto interiore. La scelta di utilizzare un apparecchio obsoleto non è solo di natura estetica, ma poetica. Tuttavia, lungi dall’essere pure registrazioni, le immagini vengono sovrapposte già in fase di ripresa, utilizzando i segmenti di pellicola come dei dettagli che mano a mano vanno a ricostruire dei luoghi.
Il risultato sono delle visioni oniriche, quasi delle epifanie, che pur ancorate al reale attraverso un filo sottile, quello della memoria, costruiscono un immaginario ovattato e metafisico, sospeso in una dimensione spazio-temporale incantata.
Le città invisibili, così come ne parla Calvino, sembrano quindi diventare visibili, presenti nel subconscio dell’artista e comunicate attraverso delle fotografie che non sono solo, e non tanto, la descrizione di un luogo, ma la condivisione emotiva della percezione dello stesso, con le sue voci, i suoi odori e i suoi silenzi.

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